Carissimi Fratelli, vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino.
Con queste parole Benedetto XVI ha annunciato ai Cardinali e al mondo intero la sua decisione di rinunciare al suo servizio di vescovo di Roma, e quindi di successore dell’apostolo Pietro, alla guida della Chiesa cattolica. La motivazione è chiara:
nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato.
Poi molti a fare le dietrologie di sorta, perché sembra impossibile che qualcuno rinunci a una “poltrona” perché ritiene di non essere più adeguato a svolgere bene il proprio compito. Non per risparmiare se stesso, quanto per non far mancare nulla al popolo che gli è stato affidato. Perché i leader del mondo siamo abituati a vederli “mascherati” di false giovinezze e a sentirli sbrodolare menzogne, quando si tratta di riconoscere i propri limiti e la propria inadeguatezza.
Invece a me il Papa è sembrato che compisse l’atto più bello per un pastore che ha a cuore il bene delle pecore: cari fratelli, non ho più le gambe agili per stare dietro a tutti, la vista si fa opaca e non riesco a scorgere i pericoli a tempo debito, la stanchezza mi impedisce di rimanere a vegliare su di voi per tutta la notte; e allora vi affido al Pastore Buono, perché trovi uno più adeguato.
Il Papa che a volte, anche a me, è sembrato un po’ conservatore, ci ha stupiti tutti con un gesto profetico e rivoluzionario: ci ha ricordato che il mondo lo ha già salvato Gesù Cristo, il Figlio di Dio Crocifisso e Risorto. Per cui non dobbiamo salvarlo noi, di nuovo. Che tutti siamo solo poveri operai nella vigna del Signore e non i padroni della Terra. Che non dobbiamo temere la debolezza e il limite, ma l’ostentazione e la superbia, piuttosto.
Poi, vanno bene le battute in piazza e l’ironia nei socialnetwork. Ma non la ricerca ossessiva del complotto o del sospetto. Né la disperazione delle “prefiche” di turno, che dichiarano smarrimenti e turbamenti che poco appartengono ai discepoli di Gesù. Nell’ultimo incontro con lui, insieme ai ragazzi dell’Azione Cattolica ci ha detto: «Se vi aiutate l’un l’altro a cercare il grande Autore della vita, della gioia, dell’amore, della pace, scoprirete che questo Autore non è mai lontano da voi, anzi, è vicinissimo». E noi per questa vicinanza, non ci lasciamo né confondere né abbattere, ma continuiamo a camminare nella gioia.
Benedetto XVI ha concluso dicendo «chiedo perdono per tutti i miei difetti». A me piace concludere che sono grato al Signore per il dono del suo pontificato, e pieno di speranza per quanto lo Spirito Santo e Birichino vorrà ancora donare alla Sua Chiesa e al mondo intero.