Luce, liberazione, gioia, bellezza in una stalla!

Luce, liberazione, gioia, bellezza in una stalla!

Certamente un pazzo, colui che, nel mezzo della notte, vede una grande luce che risplende. Quelli che conoscono le leggi della natura e le scoperte scientifiche lo sanno bene. Non può essere!
Ma anche un pazzo o un illuso, colui che, immerso nella storia di un popolo oppresso dalla violenza e torturato dalla nostalgia della patria, annuncia l’improvvisa liberazione, un improbabile ritorno a casa e una pace insperata.
Davvero da pazzi e da pagliacci, parlare in questi tempi di crisi economica di una moltiplicazione di gioia. E mentre si comincia a dubitare seriamente del futuro delle nuove generazioni, ormai proiettate verso l’incertezza, la depravazione, l’assurdità: invece di “recessione” e “disoccupazione” una Parola misteriosa ci racconta di un aumento di letizia e di speranza.
Deve trattarsi proprio di un pazzo oppure di un illuso o addirittura di un pagliaccio. Oppure è la voce stessa di Dio. La sua gioiosa opera di salvezza e di liberazione.
Fratelli e sorelle, è la voce di Dio, quella che abbiamo ascoltato. Così diversa dalle parole a cui ormai ci stiamo abituando anche noi. Così nuova, anche se antica di millenni. Forse sempre ascoltata, ma raramente accolta. La voce che ora mi annuncia una luce splendida, una liberazione definitiva e una gioia senza fine.
Ma come è possibile? Sarà vero? Sarà proprio Dio? E si riferirà proprio a me e alla storia che sto attraversando?
Anche Zaccaria ed Elisabetta dubitano. Anche Giuseppe e Maria se lo sono domandato. Anche i pastori di Betlemme hanno stentato a crederci. Ma era la voce di Dio. Il suo braccio potente e misericordioso.
La bella notizia che non risuona più solo nei luoghi sacri e nei giorni di festa, come questa notte, come durante l’offerta dell’incenso di Zaccaria, esaudito nella sua preghiera. Ma anche negli spazi della laicità e della quotidianità, come nella casa di Nazareth, con Maria affaccendata tra le pentole e Giuseppe che riposava dopo il lavoro in un caldo pomeriggio qualunque.
Sembra impossibile, ma il Regno dei cieli è già entrato nella nostra vita e in ogni cuore. E ormai appartiene per sempre a Silvia che non smette di porre domande, a Massimo che aspetta da tempo che vada a trovarlo anziché lamentarmi perché non sia lui a venire da me, ad Angela che si commuove, e a Giuseppe che tenta la difficile arte dell’esistenza in un mondo incrostato di pregiudizi. A Pierluigi che si stupisce e si entusiasma per ogni cosa, a Loredana che, piena di ferite, non smette di curare gli altri. A Gaia, quasi mai felice.
Sembra impossibile, ma l’eternità di Dio irrompe nel vivere quotidiano della gente comune. Lascia apparentemente tutto come prima. E nello stesso tempo modifica radicalmente la realtà. Anzi la rovescia! Tanto che ormai la vita ordinaria e nascosta è diventata tempio della potenza di Dio. E gli umili e i piccoli, i profeti silenziosi e veri: coloro che sono ancora capaci di stupore e obbedienza.
E allora mentre il contesto storico e politico è occupato da Cesare Augusto, illuso di dominare sul mondo, e Quirinio governa la Siria; mentre siamo sottomessi allo spread e al PIL, in realtà è Dio che fa la storia, attraverso la speranza e la fedeltà dei piccoli: coloro che scelgono di rinnegare le illusioni del mondo e le logiche del potere, accogliendo tutto come dono, gli altri come fratelli e Dio come Amico (cfr. Tt 2,11-14).
Lo stile è quello di Gesù. La logica quella del volto d’Amore che ci rivela nella sua carne e nella sua storia di precarietà e di povertà totale. Poiché non c’era posto per i suoi genitori. Poiché non sapevano dove metterlo già appena nato, divenendo il segno straordinario in una realtà in cui non sembra davvero esservi nulla di straordinario: un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia.
In questo anno in cui razionalmente non ci aspetteremmo nulla di buono e di nuovo, vogliamo essere capaci di riconoscere la contraddizione e l’invisibilità silenziosa di questo seme gettato sulla terra. E dovremmo essere profeti come i pastori rozzi ma attenti ad accogliere l’invisibile e l’incomprensibile. Al di là delle apparenze e delle previsioni.
E mentre i potenti si illudono di condurre la storia, noi, “piccolo resto” ancora in esilio, aspettiamo la consolazione. E nella povertà continuiamo a fidarci di Dio. E nell’obbedienza siamo profeti di bellezza nuova:
«…una bellezza che non si rovina, che non si rompe, che… c’entra con la vita quotidiana, con il sudore, i capelli, la pelle, le mani screpolate, la fatica, lo sco­raggiamento, la tristezza, la paura, il falli­mento, il sangue, il freddo e il sonno. Una bel­lezza senza perfezione. Una bellezza che c’en­tra con tutto, perché tutto ha attraversato. U­na bellezza fecondata da limiti e sproporzio­ni, per partorire ciò che non passa. Io questa bellezza cerco. Questa bellezza nasce per me. In una stalla» (A. D’Avenia).

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