In fondo anche le giaculatorie sono preghiere-spot di poche sillabe o, se così possiamo definirle, tweet ante litteram: perché allora non fare la stessa cosa con i commenti alla Scrittura, lanciando in rete messaggi non più lunghi di 140 battute? A chiederselo è stato monsignor Hervé Giraud, vescovo di Soissons, una delle più antiche città della Piccardia, e presidente del Consiglio per la comunicazione della Conferenza episcopale francese.
In mezzo al cinguettio dei social network, le sue micromélies hanno attirato l’attenzione della stampa, ma la notizia è meno bizzarra di quello che può sembrare a un primo sguardo: in fondo il compito più urgente di un sacerdote è annunciare il Vangelo, «niente è più importante di questo» ha ribadito il vescovo di Soissons, Laon e Saint-Quentin a «Le Monde» che gli ha recentemente dedicato un articolo, pubblicato nel numero di Natale.
La Parola di Dio deve essere divulgata eukàiros akàiros, cioè opportune et importune, si legge in IITimoteo, 4, 2; per questo, sbarcare su quella che Giraud, professore di matematica prima di essere ordinato sacerdote, chiama l’arène numérique è un modo per prendere alla lettera il consiglio dell’Apostolo. Il pulpito digitale funziona: i messaggi inviati da @mgrgiraud su Twitter (già usato come strumento didattico in molte scuole francesi) vengono letti e a loro volta rispediti da altri internauti connessi — tra i followers c’è anche il cardinale presidente del Pontificio Consiglio della Cultura (@CardRavasi) — in un passaparola incessante: bisogna permettere a Dio di sorprenderci (Jn 1, 46 Peut-il sortir de là quelque chose de bon?Dieu surprend mon attente en se laissant trouver là où je ne l’attends pas) e mirare sempre all’essenziale (Il nous faut peu de mots pour exprimer l’essentiel, il nous faut tous les mots pour le rendre réel: la frase è tratta da Avenir de la poésie di Paul Eluard).
Soprattutto non bisogna avere paura delle domande dei fedeli; rispondere fa parte della vocazione di un sacerdote e, a maggior ragione, di un vescovo: Je trouve spirituel de la part de l’Église d’avoir donné à la crosse des évêques la forme d’un point d’interrogation scrive Édouard Herriot, citato in un messaggio spedito da monsignor Giraud, convinto che una vita “rinata” (Ressuscités avec le Christ è il suo motto episcopale) debba necessariamente lasciare tracce nel presente.
Anche nell’agorà digitale quello che conta è De la présence, soulement de la présence, solo così sant’Agostino o san Girolamo possono tornare a essere parole chiave (hash-tags in gergo twitter) nella vita culturale del XXI secolo come lo erano per gli anonimi glossatori della Bibbia nel medioevo. Il confronto con gli esegeti dell’età di mezzo è illuminante; una simile preoccupazione educativa, più che artistico-letteraria — favorire la comprensione della Sacra Scrittura e dei Padri della Chiesa — muove anche il ministro della cultura di Carlo Magno, il monaco Alcuino di York (735-804), per citare solo uno tra i tanti esempi possibili.
Nell’epistola prefatoria a un commentario ai Salmi scritto per l’amico Arnone di Salisburgo (Monumenta Germaniae Historica, epistola iv, 243, p. 388) l’autore parla del suo testo come di un enchiridion, id est manualem librum, un’opera di consultazione concisa e maneggevole compilata attingendo dai trattati dei Padri, selezionando brevi passi e collegandoli fra loro, sintetizzando e semplificando. Ad Alcuino non interessa comporre un’opera “originale” secondo l’accezione moderna del termine, ma solo fornire ad Arnone e ai suoi allievi un utile strumento di lavoro, veloce da trascrivere e facile da divulgare nella grande rete allora composta dagli scriptoria dei monasteri, strettamente connessi da una fitta trama di scambi epistolari.
Anche nell’VIII secolo dell’era cristiana, dunque, si cercava di non intasare la posta di un amico con messaggi in allegato troppo pesan- ti; basta sostituire alle parole “mail” e “file” “biblioteca” e “manoscritti” e il concetto è più o meno lo stesso.