Anche quest’anno abbiamo ricevuto la grazia di vivere la Pasqua. Dalla sera del giovedì nella trepidazione del cenacolo, poi lo strazio della croce, fino al silenzio immobile del sepolcro. Noi non ci siamo lasciati impressionare dall’ultimo baluardo del mondo, che cerca in tutti i modi di convincerci che sotto a quel masso non c’è più vita.
Abbiamo vegliato, proprio nel momento della tenebra, per scoprire che c’è una possibilità nuova di illuminare il mondo. Abbiamo vegliato nel momento del silenzio, per ricevere in dono una Parola Viva, che ci ha svelato una logica diversa, una bellezza attesa.
E ora ci sentiamo coinvolti dal cammino affannoso delle donne. Ed entrando nel sepolcro, siamo presi di nuovo dalla paura: esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano incerte e impaurite. Così ci scopriamo impreparati anche ad accogliere il dono.
Se la storia del nostro discepolato era finita male, nel buio e nel silenzio del sepolcro, almeno era finita; ma davanti alla risurrezione siamo costretti a riconoscere l’autorità della croce e a cercare il senso delle cose, degli eventi e delle relazioni, proprio a partire da essa.
Abbiamo percorso l’intera storia della salvezza, che è anche la nostra storia.
Perché una creazione così bella per poi lasciarla in balia della libertà umana, capace di deturpare ogni cosa? Perché affidare a una coppia di vecchi, nomadi e senza figli, la possibilità di una discendenza numerosa e di una terra fertile? Perché promettere la libertà ad un popolo di schiavi e chiedere fedeltà ad una genia di ribelli? Perché richiamare a sé la donna adultera, dopo che è stata abbandonata dai suoi amanti, e farne la propria regina? Perché svendere tutto, regalare tutto a chi non può ricompensare neppure con l’affetto e con la riconoscenza? Perché prendersi cura di un mucchio di ossa inaridite a causa dell’idolatria, coltivando la speranza che possano tornare a vivere, contemplando una valle desolata, come fosse uno splendido giardino?
Soltanto immersi nel mistero di morte e risurrezione di Gesù, scopriamo che ogni senso riposa nel cuore di Dio che ama fino alla fine. Il suo amore è seme fecondo; è la sapienza che regge il mondo: l’amore umiliato e violentato sulla croce, l’amore silenzioso e inerte nel sepolcro, l’amore glorioso e travolgente del mattino di Pasqua.
Anche io sperimento la fatica e il fallimento. Quante volte mi scopro diverso da come vorrei essere e incapace di cambiare. Quante volte penso a come dovrebbe essere la nostra parrocchia. Quante volte vorrei diversa la realtà in cui viviamo. Poi basta un bambino che dona alcune uova di cioccolato per i bambini poveri, perché lui ne ha ricevute troppe. Ma non sono mai troppe le uova di cioccolato per un bambino. Non era l’avanzo, ma il cuore.
E allora scopro che a Dio basta poco. Che Dio è molto meno esigente di noi. Anche quando si tratta della nostra conversione. Ha già preparato la strada. Già ci è corso incontro e ci ha raggiunto per abbracciarci. Ha già rotolato via ogni pietra che ci impediva di essere vivi. È già risorto!
Il Battesimo, di cui faremo memoria tra poco, è la garanzia che possiamo compiere questo ulteriore passo: uscire dal luogo della morte e della rassegnazione, come siamo usciti dalle acque, e donare risposte di verità e di vita, indicare strade luminose e belle da percorrere.
L’eucaristia che ci viene finalmente donata è il sacramento dell’amore di Dio per noi: essa sarà il cibo, il nutrimento e la garanzia, che è possibile questo cammino di consolazione e di gioia grande. Alessandro Baricco, nel suo romanzo Emmaus scrive: “Né dubito che più tagliente di qualsiasi paura sarà il mio andare”. Allora con i fianchi cinti e il bastone in mano, senza temere l’oscurità e il silenzio della notte, nella vita e nella storia, siamo già in cammino! Buona Pasqua.
(Omelia nella Veglia pasquale 2016)