Si è concluso il pontificato di Benedetto XVI, lo scorso 28 febbraio. Alle ore 20, ricorderanno i cronisti meticolosi. Ero in piazza San Pietro all’ultima udienza. E oggi, mentre il vangelo ci parla di conversione, mi risuonano le parole con cui il Papa ricordava gli anni del suo pontificato:
È stato un tratto di cammino della Chiesa che ha avuto momenti di gioia e di luce, ma anche momenti non facili; mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire (Benedetto XVI, Udienza generale – Piazza San Pietro, mercoledì, 27 febbraio 2013).
Allora mi sono lasciato afferrare dal ricordo dei momenti dalle acque agitate e dal vento contrario. Nella mia vita da prete ce ne sono. Anche spesso. E di questo vorrei parlare, senza dimenticare di camminare nell’orizzonte della speranza e non della rassegnazione. Perché neppure mancano, e sono abbondanti, i giorni del sole e della pesca buona.
Quali sono le mie tempeste e le mie reti vuote? Non sono diverse da quelle di tutti gli uomini e le donne di questo tempo. Credenti e non credenti. Il mio limite e il mio peccato. La fatica di arrivare ovunque e di fare tutto. La paura di non prendere le giuste decisioni, di non vivere correttamente le relazioni, di non saper andare oltre l’immediato e l’esteriore. Soprattutto, la quotidiana constatazione di quanto la mia vita sia lontana dal Vangelo che predico. Anche se davvero ce la metto tutta. E poi l’inadeguatezza alle domande che mi vengono rivolte. Perché non ho le risposte automatiche. Neanche per me. E la delusione, le disillusioni, i fallimenti periodici.
Sempre chiedo aiuto, grido la mia preghiera al Signore. Ma anche ai miei amici credenti vicini alla parrocchia o lontani. A quelli non credenti e persino anticlericali. Qualcosa vorrei chiedere.
Non considerateci una sorta di marziani che vivono fuori dal mondo. E se spesso, noi preti, ne sembriamo estranei, aiutateci a tenerci dentro il naso e per terra i piedi.
Non cercateci solo quando avete bisogno di qualcosa. Non siamo produttori automatici di sacramenti e benedizioni. Neppure burocrati distributori di certificati. Invitateci a casa, a pranzo, a cena, anche solo per un caffè. Cercate il dialogo con noi, soprattutto quando non avete bisogno di nulla. Impareremo insieme il valore della gratuità.
Non giudicateci facendo di tutta l’erba un fascio, praticando luoghi comuni e pronunciando slogan, ma sosteneteci con la preghiera e la vostra testimonianza. Siate misericordiosi con noi. Ma neppure prendete per buono tutto ciò che diciamo o facciamo. Usate sempre il vostro cervello e aiutateci ad usare il nostro.
Non lasciateci prigionieri del nostro ruolo o del nostro abito. Prima conosciamoci, e poi mandateci pure a quel paese. Ma da “amici”.
Se con qualcuno di noi avete avuto una brutta esperienza, non rassegnatevi. Per un dono così grande, l’amicizia con Gesù, vale la pena tentare ancora.
Poi si riprende il cammino. Le lacrime, asciughiamo le nostre e continuiamo ad asciugare le altrui. Belle le parole di Benedetto XVI.
Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare. Ed è per questo che oggi il mio cuore è colmo di ringraziamento a Dio perché non ha fatto mai mancare a tutta la Chiesa e anche a me la sua consolazione, la sua luce, il suo amore. (Benedetto XVI, Udienza generale – Piazza San Pietro, mercoledì, 27 febbraio 2013)
Scusate lo sfogo e la confidenza.