Il 22 e 23 settembre si è svolto a Roma il raduno dei Missionari digitali italiani. L’iniziativa è stata organizzata dal Gruppo sinodale “La Chiesa ti ascolta”, l’equipe di persone che costituiscono il continente digitale del Cammino sinodale, accompagnata dal Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede e della Conferenza episcopale italiana.
Sto in “rete” da più di vent’anni. Ma dal 2008 ho fatto il mio ingresso nel mondo dei social network. All’inizio un blog, poi altri spazi, senza avere molte idee in merito. C’è questa novità, un modo nuovo di comunicare, sono chiamato ad annunciare una Bella notizia. E allora proviamo.
Dopo qualche tempo, la prima intuizione: raccontare la mia vita di cristiano, discepolo di Gesù. E quindi anche la mia vita da prete. Pezzi di storia alla rinfusa: pensieri, incontri, scherzi, considerazioni, preghiere, sentimenti, un po’ di satira, sorridere sempre e uno sguardo da credente sulla realtà. E quando si è potuto anche gli audio, le foto, i video.
Come piano editoriale: raccontare che anche i preti, in fondo in fondo, sono umani (da leggere con tono tipico fantozziano).
Dalla mia presenza nelle piazze digitali, attraverso i mutamenti tecnologici, ho imparato qualcosa.
I “luoghi” digitali sono diventati una finestra spalancata sulla realtà, prima ancora che un palcoscenico dal quale esibirsi. E l’impeto del dover dire si è trasformato nella dolcezza di saper ascoltare.
Le relazioni belle e importanti, scambi occasionali, alcuni tratti di strada percorsi, amicizie che continuano, prima o poi chiedono uno scambio di sguardi o un abbraccio di carne o un giro di pizza.
Infine, ho imparato che nel fantastico mondo dei social scompaiono i ruoli e si dialoga tutti sullo stesso piano. Ho imparato il valore della credibilità, quando non si possono rivendicare autorità, posizioni e ruoli. E ho imparato che non si può riversare la vita, la liturgia, l’azione pastorale sulla “rete”, senza tener conto della differenza di linguaggio, per cui non si può trasformare il proprio account in pulpito o in sacrestia o in aula di catechismo. Vino nuovo in otri nuovi, niente rattoppi ridicoli.
Con questo bagaglio, ho raccolto l’invito di incontrare alcuni fratelli e sorelle, che provano a raccontare, come me, la vita cristiana nei modi offerti dalla tecnologia.
Ero curioso di verificare se fossero reali questi essere mitologici, mezzi preti, frati, suore e laici e mezzi smartphone.
Esistono davvero. Per la prima volta insieme, senza alcuna mediazione digitale.
Forse ci siamo sentiti inizialmente un po’ nudi. Ci siamo guardati, misurati in altezza e larghezza. Noi abituati a dire e a fare, stando al centro dell’attenzione, abbiamo fatto un passo indietro per dare spazio ad altri. Abbiamo vinto il sospetto reciproco e lasciato campo libero alla reciproca stima, in vista di qualcosa di poco definito ancora. Per amore di qualcuno più grande di tutti.
Ci siamo fidati di chi ci ha convocati e non ci siamo tirati indietro.
Subito, provocati da una “influencer” impertinente: «Noi chi siamo? Ma soprattutto che stiamo facendo, guagliò? ...Stiamo cercando di capire quello che dobbiamo fare, ma stiamo tutti allo sbaraglio!».
E allora qualcuno ci ha ricordato che siamo tutti portatori di una fiaccola che non abbiamo acceso noi, ma che ci è stata consegnata da qualcun altro. Che siamo testimoni di una Parola che non è nostra, ma ci ha cambiato la vita.
Altri ci hanno fatto sentire membra vive di Gesù, nella Chiesa, esortandoci a essere missionari innamorati, coraggiosi, perseveranti, innovatori, con lo stile del buon samaritano: non assillati dalla creazione di contenuti da divulgare, ma occupati nella cura e nell’ascolto di quanti raggiungiamo. «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi», che trovano eco anche nel nostro cuore.
E poi abbiamo camminato in mezzo alla bellezza dei Musei Vaticani e abbiamo pregato e abbiamo condiviso l’eucaristia e i pasti e siamo stati semplicemente insieme. Liberamente in dialogo.
Alla fine, superato il sospetto e affrontata ogni diversità, abbiamo scoperto quello che abbiamo in comune tutti, come un tesoro nascosto e una perla preziosa trovata.
Un giorno, in circostanze diverse, abbiamo incontrato Gesù. Un giorno, in modalità diverse, la sua Parola ci ha toccati, in profondità fino a ribaltarci. Un giorno abbiamo sentito la necessità di raccontarlo a tutti, e quando lo facciamo, a volte, non riusciamo a trattenere le lacrime. E un giorno abbiamo provato a farlo attraverso la “rete” e ci siamo accorti che tanti, come noi, hanno fame e sete. Abbiamo sperimentato che il Vangelo funziona, potentemente. E da questo scaturisce una comunione bellissima, emozionante, credibile, necessaria, risolutiva, coraggiosa.
Non siamo stati in grado di decidere se chiamarci evangelizzatori o influencer o testimoni o missionari. E ne abbiamo discusso tanto.
Da soli pensavamo di essere molto diversi. Insieme, ci siamo scoperti nuovi.