Ma chi ha scritto i vangeli? E come sono arrivati fino a noi?
Quando dico “vangelo” senza specificare altro intendo tutto quello che Gesù ha detto e ha fatto, il suo messaggio. Anzi, intendo la persona stessa di Gesù, che mi viene incontro e mi annuncia che Dio è prossimo alla mia vita. Non sta sulle nuvole, totalmente estraneo, ma è dentro la mia storia.
Ma nella Bibbia ci sono quattro vangeli, caratterizzati da tratti comuni, ma anche discordanti, fino a sembrare contraddittori.
Quattro vangeli, definiti secondo Matteo, secondo Marco, secondo Luca e secondo Giovanni, i quali non sarebbero tanto autori individuali, ma garanti della testimonianza di una comunità, che vuole trasmettere la propria fede in Gesù di Nazareth, il Messia, il Cristo.
Quattro evangelisti, di cui conosciamo i nomi grazie alla memoria orale delle comunità cristiane, poiché non hanno firmato la loro opera, per sottolineare il valore del messaggio e indicarne il suo vero autore, che è Dio.
Ma perché sono stati scritti i vangeli? E come sono stati scritti?
Le prime fonti
Dopo i fatti della risurrezione di Gesù e la Pentecoste, gli apostoli cominciano ad annunciare a tutti la bella notizia della salvezza e comprendono che, attraverso di loro, il Signore continua ad essere presente nel mondo, ad insegnare e a guarire.
Ma il loro entusiasmo e il grande numero di seguaci scatena un’aspra persecuzione, che fa temere il peggio per la vita dei primi discepoli di Gesù.
In caso di cattura o addirittura della loro uccisione, come poter conservare l’autenticità dell’annuncio cristiano? E comunque come custodire la bella notizia in vista delle nuove generazioni?
Sono passati circa venti anni dalla morte di Gesù. La comunità cristiana cresce. I fratelli e le sorelle, in seguito alle persecuzioni, sono dovuti fuggire altrove. E ovunque il Vangelo ha trovato accoglienza. E cominciano a nascere comunità fuori da Gerusalemme. Oltre la Palestina. Addirittura, i pagani si convertono e chiedono il battesimo.
C’è proprio bisogno di scrivere qualcosa anche per coloro che non provengono dalla fede ebraica e non conoscono le tradizioni d’Israele.
San Paolo nel 50 d.C. ha già cominciato a scrivere le sue lettere, ma i vangeli non sono stati ancora pubblicati.
Ci sono raccolte scritte, che circolano all’interno delle diverse comunità cristiane. E poi c’è ancora la memoria di coloro che hanno visto, ascoltato, incontrato e conosciuto Gesù di Nazareth.
C’è la testimonianza viva dei discepoli del Signore, supportata da alcuni appunti, che ruotano attorno a tre nuclei principali: gli insegnamenti di Gesù, i suoi miracoli e, soprattutto, il racconto della sua passione, morte e risurrezione.
I vangeli sinottici
E si va avanti così, fino a quando gli apostoli, i veri garanti della bella notizia, cominciano a essere uccisi. Allora, intorno al 70 d.C. - anno che ricordiamo per la distruzione di Gerusalemme da parte delle truppe romane, guidate dal generale Tito. Insomma, una quarantina di anni dopo la risurrezione, nascono i primi tre vangeli.
Sono gli scritti, che la tradizione cristiana attribuisce a Matteo, Marco e Luca, i quali attingono da fonti comuni, ma organizzano il materiale ricevuto a modo loro, aggiungendo chi un particolare e chi un altro.
Per questa ragione, i vangeli secondo Matteo, Marco e Luca li chiamiamo “vangeli sinottici”, cioè «che si possono guardare insieme».
Perché sono stati scritti?
«Per raccontarci la storia di Gesù», diranno molti. E invece no.
Gli evangelisti (così saranno chiamati gli autori dei vangeli) non hanno l’intenzione di raccontare la storia di Gesù. E infatti, mancano un sacco di pezzi. Non sappiamo quasi niente delle sue origini. E quel poco che sappiamo, spesso è contraddittorio. Non sappiamo assolutamente niente della sua vita, prima della sua predicazione. Ci mancano almeno trent’anni di vita di Gesù.
Come racconti biografici sarebbero proprio scarsi!
In realtà, gli evangelisti non hanno la necessità di raccontare la vita di Gesù. Ci sono ancora i testimoni diretti, che lo hanno conosciuto. Probabilmente è ancora viva Maria, sua madre.
Essi desiderano trasmettere la bella notizia, che è la persona di Gesù. Desiderano mettere nelle condizioni di conoscerlo, ma soprattutto di incontrarlo, tutti coloro che verranno dopo di loro.
Insomma, nei vangeli non impari tanto la vita di Gesù, ma incontri la vita di Gesù. Poiché il cristianesimo non è una storia o una dottrina. Non è una serie di contenuti da imparare. Marginalmente lo è, ma solo marginalmente. Il cristianesimo è essenzialmente l’incontro con Gesù risorto. Il cristianesimo è una gioiosa esperienza. La bella notizia, appunto.
Il vangelo secondo Marco
Allora comincia Marco, probabilmente. Il primo degli evangelisti, anche se per secoli abbiamo creduto che fosse il secondo.
Marco, probabilmente, segue Paolo nei suoi viaggi, ma è stato discepolo di Pietro. Probabilmente vengono proprio dalla testimonianza del primo degli apostoli i tratti più originali di questo scritto. Molti lo considerano proprio il vangelo di Pietro, per ragioni che non sto qui a spiegarvi, ma che sarebbe interessante approfondire.
Il vangelo secondo Marco nasce appena prima del 70 d.C.. Si rivolge probabilmente a un pubblico di origine pagana. Ci piace pensare che sia rivolto soprattutto ai cristiani di Roma. E in particolare a coloro che si stavano preparando a ricevere il battesimo.
È scritto in greco, per persone che non hanno grande dimestichezza con la lingua greca. Usa pochi vocaboli e quasi tutti tratti dal lessico quotidiano e familiare, tipo: «the book is in the table», quando imparavamo l’inglese alle elementari.
In una forma semplice, rapida, scorrevole e ancora molto moderna e accattivante, si rivela di una grande profondità.
Nella sua prima parte ci presenta soprattutto i tratti umani di Gesù. E nella seconda, fa emergere la sua attività messianica e in sottofondo comincia ad apparire la Chiesa, soprattutto attraverso le iniziative di Pietro, le sue domande e le sue risposte, che spesso lo rendono oggetto di rimproveri epici.
Tutto il testo è attraversato, dall’inizio alla fine, dalla domanda: «Chi è Gesù, per te?», «Che c’entra Gesù con la tua vita?».
Pare che originariamente si concludesse proprio con la professione di fede di un soldato romano, che stava ai piedi della croce.
«Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: "Davvero quest'uomo era Figlio di Dio!"». Questo è il culmine del percorso proposto da Marco e dalla sua comunità.
Questo è il culmine della vita cristiana.
Nella sinagoga di Cafarnao, all’inizio della sua predicazione, «un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: "Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci?».
E di fronte alle sue opere alcuni scribi pensano: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?».
E ancora più avanti: «per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: "La gente, chi dice che io sia?". Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti". Ed egli domandava loro: "Ma voi, chi dite che io sia?"».
Ecco Marco. Un vangelo essenziale, per strada e nell’intimità del cuore, attraversato da tante domande, che trovano la loro risposta ai piedi della croce e davanti al sepolcro vuoto.
La prossima volta vi parlerò dei vangeli secondo Matteo e secondo Luca.
Adesso una curiosità. Marco, raccontando la notte dell’arresto di Gesù, si sofferma su un particolare insignificante e accenna a un fatto. Appena hanno arrestato Gesù e tutti sono fuggiti via.
«Lo seguiva però un ragazzo, che aveva addosso soltanto un lenzuolo, e lo afferrarono. Ma egli, lasciato cadere il lenzuolo, fuggì via nudo». Qualcuno ha voluto pensare che si trattasse proprio dell’evangelista, ancora ragazzino.
Un cammeo, quasi una firma. Oppure il suo desiderio di esserci dentro quella bella notizia.